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FERDINANDO PALASCIANO – IL DOVERE MORALE SOPRA OGNI COSA
23/09/2020
Non sempre nella Storia tutti rispettano gli ordini e le regole, e forse sono proprio le storie migliori che iniziano in questo modo: con un atto di coraggio e follia che solamente un precursore può fare. Così inizia la storia di Ferdinando Palasciano, con un atto di radicale disobbedienza in coerenza con un principio etico e morale.
La disobbedienza probabilmente l’aveva ereditata dai suoi genitori: Pietro Palasciano e Raffaella Di Cecio. Infatti, dopo la prematura scomparsa di Maria, sorella di Raffaella e prima moglie di Pietro, il dolore per questo lutto si è trasformato in amore. Un amore sconveniente e chiaccherato anzi, giudicato addirittura scandaloso ed incestuoso per le leggi dell’epoca. I due cognati erano considerati affini di primo grado. Per sposarsi dovettero attendere una dispensa papale e il consenso del sindaco di Capua che arrivarono nel 1816, quasi un anno dopo la nascita del figlio Ferdinando che fino alle loro nozze, era considerato dalle leggi in vigore figlio “illegittimo”.
Fin da bambino Ferdinando si mostrò curioso ed interessato allo studio tanto da conseguire negli anni a venire tre lauree: la prima in Belle Lettere e Filosofia, la seconda in Veterinaria seguendo il suo amore per gli animali e la terza in Medicina e Chirurgia a Messina nel 1840. Era inoltre avvezzo alle tecniche artistiche, abbozzando lui stesso il progetto per la torre poi utilizzata come dimora di famiglia, che ancora oggi si può ammirare sulla collina di Capodimonte a Napoli, in uno stile ispirato alla torre di Palazzo Vecchio a Firenze.
Dopo aver concluso i suoi studi si arruolò nell’esercito borbonico e nel 1848, anno fatidico per le sorti non solo di Messina ma dell’Italia intera, era alfiere chirurgo, l’equivalente odierno del sottotenente medico. Già agli inizi del ’48, precisamente dal 12 gennaio, a Messina iniziarono i moti rivoluzionari contro i Borbone che culminarono nell’assedio della città nei primi giorni di settembre dello stesso anno. Ferdinando II fece bombardare la città dalle sue navi per quattro giorni consecutivi provocando una strage. Combattimenti furiosi tra l’esercito regolare borbonico e i ribelli siciliani causarono un elevato numero di vittime tra i combattenti e la popolazione civile. Il 7 settembre cessano i combattimenti.
Palasciano è incaricato a prendersi cura dei feriti dell’esercito borbonico ma ecco, l’atto di coraggio e disobbedienza: vuole prendersi cura anche dei ribelli feriti; un atto totalmente in contrasto con le leggi militari e le consuetudini dell’epoca, di norma i feriti avversari venivano lasciati morire senza cure o uccisi tanto che per questo scopo fino al Seicento veniva utilizzato un pugnaletto chiamato “misericordia” giustificando questo barbaro atto come un’azione pietosa. Misericordiosa invece è l’azione operata da Palasciano che raccoglieva i ribelli feriti e sanguinanti, riservando loro le stesse cure che prestava ai soldati borbonici.
Quando il generale, Carlo Filangeri, si rese conto del comportamento di Palasciano si indignò per quello che riteneva un oltraggio ed ebbero una discussione accesa in cui Filangeri accusò il medico di compiere un gesto grave, in aperta violazione delle leggi militari dell’epoca. Ferdinando non si fece intimidire dalle parole del generale, rifiutandosi di rompere il giuramento di Ippocrate, cardine della sua professione, anche di fronte alla minaccia di un processo davanti alla corte marziale: per Palasciano la sacralità della vita dei feriti di guerra era imprescindibile. I combattenti feriti, indipendentemente dallo schieramento di appartenenza non dovevano più essere considerati nemici ma “Neutrali, e come tali aventi diritto all’aiuto e alla protezione dell’una e dell’altra parte degli eserciti belligeranti”.
Il generale lo incalzò ricordandogli nuovamente la gravità delle sue azioni e le eventuali conseguenze derivate dalla sua disobbedienza ma la risposta di Ferdinando fu storica: “Il mio dovere di medico è più importante di quello di soldato”. Purtroppo, questa disobbedienza non rimase impunita e Palasciano fu processato dalla corte marziale che lo condannò alla pena capitale. Fortunatamente Ferdinando II commutò la pena in un anno di carcere duro a Reggio Calabria, in virtù dei meriti scientifici del medico soldato anche se in maniera sprezzante, ironizzando sulla bassa statura del dottore. Dopo aver scontato un anno di carcere duro si interessò, con ancor più vigore, ai problemi della sanità militare, che ai tempi era poco considerata e soprattutto inefficiente e inefficace. Si batté in modo veemente affinché venisse riconosciuta la neutralità dei feriti di guerra.
Alla caduta della monarchia borbonica, Palasciano ebbe finalmente la possibilità di esporre le sue idee in occasione del Congresso Internazionale dell’Accademia Pontaniana svoltasi a Napoli nell’aprile del 1861. Il suo discorso ebbe un’eco fortissima in tutta Europa suscitando anche l’interesse di Appia, uno dei fondatori della nascente Croce Rossa. Un interesse testimoniato da una fitta corrispondenza tra i due. Tre anni più tardi, il riconoscimento della condizione di neutralità dei combattenti feriti oggi universalmente riconosciuto (da non confondere con il Principio Fondamentale di Neutralità della Croce Rossa) divenne uno dei pilastri della prima Convenzione di Ginevra.
Una vita di onori, riconoscimenti nazionali ed internazionali per la sua attività di chirurgo, per il suo patriottismo e per la sua straordinaria umanità si concluse nella sua adorata torre a Napoli, tra le amorevoli cure dei suoi amici più intimi e della moglie Olga de Wavillow il 28 novembre 1891.
Rif. Biblio/sitografici - Marco Palasciano “Un souvenir da Capua” - www.ferdinandopalasciano.it
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